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Il 23 Maggio 1992, avevo 22 anni, ero uno dei neppure tanti studenti di legge a Catania, mangiavo pane e culto della legalità.

Il 23 Maggio 1992, avevo 22 anni, ero uno dei neppure tanti studenti di legge a Catania, mangiavo pane e culto della legalità. Invero, da appassionato di cronaca e attualità per vocazione, annusavo già da tempo che l’aria si andava vieppiù ammorbando. L’attentato contro il giudice Falcone, sua moglie e la scorta, ha origini nelle calunnie e nelle aggressioni iniziate molti anni prima, diciamo nel 1985, quando il pool antimafia mosse i primi importanti passi. Già in quella data Falcone descrive l’ambiente palermitano: “ Il clima è tale che spesso bisogna stare attenti anche alle persone che ti circondano “. Messaggio netto e chiaro. Era scattata la corsa per demolire due capisaldi falconiani per voltare pagina nella lotta alla criminalità mafiosa, la gestione dei pentiti e il primo maxi processo italiano alla mafia. Il resto è storia, poi realtà cruda e nuda, poi ancora fiction televisiva. Giovanni Falcone assurse ad emblema universale dei favorevoli e dei contrari ad un nuovo modello di far guerra all’ illegalità mafiosa, ad una rivoluzionaria cultura di guardare in faccia il Mostro, seguendo i soldi, vecchio fiuto investigativo del nostro Boris Giuliano. Accuse e infamie, calunnie e delegittimazioni politiche, giudiziarie, giornalistiche contro quello che venne definito il clan dell’Antimafia, con processi “ utili ad appagare le esigenze sceniche di qualche magistrato”. Già nel 1989 il pool era stato smantellato, Falcone è solo. Il 20 giugno con il fallito attentato all’Addaura, con la bomba che non esplode, Falcone è già un morto che cammina. Un morto- vivo senza pace. Poi Roma, la vicinanza a Martelli, il bombardamento mediatico pre Tangentopoli, le denigrazioni sul suo rapporto con i politici più potenti dell’epoca, in primis Andreotti, l’essere accusato con De Gennaro, futuro capo della Dia, l’FBI italiana, di essere responsabile della debacle nazionale di fronte alla mafia. Falcone fu schiacciato tra due Cupole, quella palermitana e quella romana, quella mafiosa e quella politico, affaristica, massonica, criminale. Tanto che alla sua morte qualcuno ebbe a scrivere che la “ Mafia aveva fatto un favore ai nemici di Falcone nell’AntiMafia”. Due mesi dopo toccherà al suo più stretto collaboratore, tra fiamme, nubi di fumo nero, auto scheletrite, palazzi sventrati, gente pazza di paura, ambulanze, elicotteri, sirene e morti. Ancora morti!
rlferrara